Fiction Rai Il commissario Ricciardi: quando inizia, quante puntate
C’è un silenzio che pesa più delle parole, e Luigi Alfredo Ricciardi lo conosce bene. Da anni vive in quella soglia sottile tra la vita e la morte, tra il dovere e la colpa, condannato a sentire le ultime parole di chi è stato ucciso. Cammina tra i vivi, ma appartiene ai morti. È un uomo fatto di chiaroscuri, come la città che lo abita. Eppure, in questa nuova stagione, qualcosa cambia.
Da lunedì 10 novembre, su Rai 1, torna Il Commissario Ricciardi, la serie tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni. È la terza stagione, composta da quattro puntate e diretta da Gianpaolo Tescari, prodotta da Rai Fiction in collaborazione con Clemart srl. Il racconto riprende nel dicembre del 1933, in una Napoli fascista che continua a resistere a modo suo. E accompagna Ricciardi in un tempo nuovo: quello in cui, dopo anni di solitudine, trova il coraggio di inseguire un barlume di felicità. È ferito, ma vivo. E nel chiedere di poter frequentare Enrica, la ragazza che da tempo gli abita il cuore e la finestra di fronte, compie il gesto più rivoluzionario di tutti: sceglie la vita.
Per Lino Guanciale, che interpreta il commissario fin dalla prima stagione, questa metamorfosi è la più sorprendente: “L’uomo che aveva fatto del distacco la propria corazza si scopre vulnerabile,” racconta. “Si concede un sorriso, perfino una risata. È l’imbarazzo di chi non si è mai lasciato andare e ora si ritrova nudo, spaesato, ma autentico. Non è un cambiamento spettacolare, ma una crepa che si apre lentamente, e proprio per questo ha la forza delle rivelazioni”.
Sul fondo scorre Napoli, la vera protagonista di questa saga. È la città degli anni Trenta, attraversata dal fascismo ma mai davvero piegata, sospesa tra la propaganda e la vita quotidiana. Le riprese restituiscono la sua doppia anima: i palazzi monumentali del regime – il Palazzo delle Poste, la Casa del Mutilato, il Filangieri – e la bellezza popolare dei quartieri dove la vita resiste, anche sotto la paura. Come Ricciardi, non smette di cambiare restando se stessa: si adatta, ma non si arrende. È una città che conosce la morte, ma sceglie di amare la vita.
“Ricciardi non è antifascista nelle azioni, ma lo è nell’anima”, ha spiegato Guanciale. “La sua resistenza è morale: non arretra mai di un passo davanti al dovere di fare giustizia. Mi fa pensare a La peste di Camus, dove la vera ribellione è continuare a fare il proprio mestiere con onestà”.
Intorno a lui si muovono figure che il pubblico ha imparato ad amare. C’è il brigadiere Maione (Antonio Milo), leale e schietto, ancora tormentato dal ricordo del figlio perduto ma sorretto dall’affetto della moglie Lucia (Fabrizia Sacchi) e dall’amicizia di Bambinella (Adriano Falivene), che con la sua ironia alleggerisce persino la tragedia. Il dottor Modo (Enrico Ianniello), libero pensatore e coscienza morale del commissario, dovrà invece aiutare il figlio di Lina, la prostituta brutalmente uccisa nelle stagioni precedenti.
Sul versante femminile, due donne incarnano il conflitto tra ragione e desiderio. Livia Vezzi (Serena Iansiti), la cantante lirica che ama Ricciardi con una passione incontrollabile, è una donna fuori dal suo tempo: travolgente, istintiva, incapace di mediare con la realtà. Enrica Colombo (Maria Vera Ratti), invece, rappresenta la dolcezza che diventa forza. Figlia di una famiglia borghese e conservatrice, si muove in silenzio ma con determinazione, fino a trasformare la sua timidezza in scelta.
Anche in questa stagione, le indagini restano centrali. Ricciardi dovrà affrontare una nuova serie di omicidi che sconvolgono la città, tra cui un caso inedito per l’epoca: un assassino seriale, quando la stessa idea di “serial killer” non esisteva ancora. Ma come sempre, nei romanzi di De Giovanni, il giallo è solo un pretesto per raccontare l’animo umano. Ogni morte è un frammento di verità, un modo per restituire senso al dolore dei vivi.
Dietro la macchina da presa, Gianpaolo Tescari costruisce un racconto sospeso tra luce e ombra, fedele al tono letterario di De Giovanni. I tempi sono dilatati, i silenzi hanno peso, gli sguardi raccontano più delle parole. È una serie che si prende il lusso di non correre, di non spiegare tutto, di lasciare che il mistero resti tale, e proprio in questo risiede la sua forza.
Il Commissario Ricciardi non è solo una serie di delitti, ma una meditazione sulla vita e sulla perdita, sull’amore che sopravvive alla morte e sulla morte che, paradossalmente, restituisce senso alla vita. De Giovanni lo ha scritto come un eroe tragico del quotidiano: un uomo che resiste al male non con la ribellione, ma con la coerenza. E forse è proprio questo il segreto del suo fascino: Ricciardi non parla di giustizia, la esercita. Non cerca l’amore, lo teme. Non fugge la morte, la ascolta.
Ma ora, nella Napoli del 1934, quel silenzio che lo ha sempre avvolto comincia a incrinarsi. Non sono più solo le voci delle vittime a raggiungerlo, ma anche quella di una donna viva, reale, che gli tende la mano. E forse, per la prima volta, Luigi Alfredo Ricciardi ha davvero paura. Non della morte, ma della felicità. Seguici su Instagram.